I vigneti


Attiguamente alla cantina sono presenti circa 20 ettari di vigneti, a 320 mt s.l.m. ai piedi della murgia barese in terreni originatesi dall’accumulo di terra rossa residuante dei processi di carsificazione e di erosione dei dossi calcarei (conosciuti con il nome di murgia)

Qui trovano condizioni di massima vitalità vitigni come Primitivo, Aglianico, Greco, Fiano, Susumaniello, Marchione, Maresco, adattati perfettamente alle nostre condizioni pedo-climatiche, perché coltivati da migliaia di anni e per questo definiti autoctoni. Coltiviamo queste piante secondo il loro archetipo (controspalliera libera, come meglio spiegato nella sezione mission) senza assolutamente toccare (arare) il terreno a una densità per ettaro di 4545 piante (sesto d’impianto 2,20x1).
In queste condizioni, ottenendo una produzione max di 60-80ql di uva per ettaro, è più che rispettato quel famoso parametro un kg di uva x mq, che una gran mole di studi indicano come base per l’ottenimento di vini pregni(corposità, sapore, profumi, gusto, etc) e non scialbi. Ciò è anche ottimizzato in seguito all’altitudine, come detto di 320 mt s.l.m. in quanto ciò è garanzia di escursioni termiche giorno-notte, utili per un’ottimale sintesi di tutto quel complesso di sostanze chiamate polifenoli, importanti oltre al nostro metabolismo di difesa anche per una migliore conservazione dei vini stessi. Da sottolineare la perenne coesistenza di una moltitudine di specie viventi (microorganismi, protozoi, alghe, licheni, funghi, lieviti, batteri, ect. in perfetta sinergia con vermi, lombrichi, aracnidi, collemboli, ect.) insieme agli esseri viventi –vite-.
Per comprendere bene quando si vuole dire, basta fare mente locale all’oceano ove la balena stà bene se i pesci di cui si nutre stanno bene e dove i pesciolini più piccoli di cui i pesci si nutrono stano bene e così via a ritroso fino a giungere al plancton (insieme di microorganismi acquatici del mare): è facile quindi capire la corrispondenza “sta bene la balena se vi è un sano plancton”. Se muore il plancton muore la balena! Nel terreno è la medesima situazione (non poteva essere diversamente perché tutta la natura funziona con l’unica legge della vita: la sinergia tra forme di vita).
Ci rendiamo conto che rispetto all’indottrinamento ricevuto negli ultimi decenni, ove per dirlo brevemente, ci hanno fatto credere all’equivalenza microbo-malattia, oggi si tratta di ribaltare del tutto la visione del mondo che ci circonda, prendendo coscienza che le forme di vita superiori sono indissolubilmente legate a quelle inferiori. Pasteur, in punto di morte, ha voluto ritrattare quanto da lui affermato per tutta una vita con la Sua ricerca sui microbi, riconoscendo la correttezza delle ricerche effettuate da un suo contemporaneo di nome Claud Bernard, che affermava con una celebre frase: “il microbo è niente, il terreno è tutto”. Con tale affermazione il Bernard rimarcava il fatto che una specie vivente fuori dal proprio habitat non produce effetti, ma solo in determinate condizioni assume significati specifici.
Per comprendere bene questo concetto pensiamo ad una epidemia provocata da un virus: ci saranno individui con il sistema immunitario compromesso che saranno subito attaccati dal virus, mentre gli individui con il sistema immunitario integro supereranno la crisi senza nemmeno accorgersene. La stessa cosa vale per le piante: in base alla loro vitalità ( integrità immunologica) avranno una minore o maggiore suscettibilità ai patogeni. Solo questa visione integrata della natura ci fa comprendere a pieno l’importanza dei lieviti naturali autoctoni presenti sulle uve dell’archetipo. Portare avanti la fermentazione primaria dei nostri mosti a mezzo di questi lieviti è completamente diverso dal far uso dei lieviti industriali, omologati secondo logiche riduzionistiche e assurdamente uguali per l’intero pianeta.
Anche in questo caso, però, bisogna dire che l’impiego dei lieviti industriali è diventato un male necessario, perché è facile capire che nella situazione di agricoltura convenzionale, ossia facendo uso di concimi, diserbanti ed antiparassitari, tutta la microflora naturale viene azzerata con il risultato che se si volesse affidare lo svolgimento della fermentazione alcolica alla microflora naturale, questa stenterebbe molto ad avere luogo. E’ possibile affidare la fermentazione dei mosti alla microflora naturale solo praticando un’agricoltura pulita, per l’appunto l’Agricoltura Sinergica, perché solo in questa condizione avremo un esercito vitale pronto a compiere questa grande e complessa trasformazione che porta un mosto a diventare vino, un vino unico nel suo genere, esprimendo nel modo più profondo e completo il concetto di Terroir.
Ogni luogo, inteso come interazione specifica di una moltitudine di fattori, ha la sua impronta digitale, unica e irripetibile così come lo è ogni essere vivente su questa Terra. Se tutto ciò lo comprendiamo e lo rispettiamo, riusciamo a fare del nostro prodotto un’opera d’arte, diversamente non faremmo altro che rientrare nelle aberranti logiche industriali di cui l’epoca attuale è pregna. Interpretare l’epoca contemporanea come raggiungimento della comprensione di tutti i disastri che l’homo tecnologicus ha provocato negli ultimi 50-60 anni, per dirigersi verso l’unica via d’uscita plausibile per salvarsi la pelle, fa del nostro lavoro motivo di orgoglio con la precisa sensazione di missione da compiere per salvare il nostro ecosistema, oggi più che mai minacciato dalla più grande inconsapevolezza che ha colto l’uomo sin dai suoi albori.